I Beatles non sono di sicuro un esempio di band rapida e veloce nell’accogliere nuove tecnologie e media per la diffusione del proprio patrimonio discografico e catalogo. Già il passaggio al cd, per esempio, all’epoca fu una questione piuttosto travagliata e gestita in maniera che trasudava una certa diffidenza e poca volontà di piegarsi a un nuovo modello.
Poi ci fu la questione di iTunes: la band mise in vendita il proprio catalogo nello store di Apple che ha segnato un’era, solo nel 2010, ossia diversi anni dopo rispetto a tutti i colleghi e competitor.
E ora, finalmente, con il proverbiale ultimo treno, i Fab Four annunciano che dal 24 dicembre – la vigilia di Natale, ovviamente – tutta la loro musica sarà finalmente disponibile per i maggiori servizi online che offrono musica in streaming – stiamo parlando, dunque, di piattaforme come Spotify, Apple Music, Tidal, Deezer, Google Play, Amazon Prime, Slacker, Microsoft’s Groove, Rhapsody e Napster…
La cosa interessante è che, contrariamente a voci che circolavano da alcuni mesi, i Beatles saranno disponibili sia sulle piattaforme che offrono servizio a pagamento (su abbonamento), sia su quelle che abbracciano il modello “freemium”, ossia consentono l’ascolto gratuito – ma con l’inserimento di pubblicità.
La questione legata allo streaming per alcuni artisti è decisamente cruciale. E le posizioni sono nettamente divise fra chi è favorevole e chi, invece, rifiuta il modello tacciandolo di ricompensare in maniera gravemente inadeguata autori ed esecutori delle canzoni – tanto che a fronte di centinaia di migliaia di ascolti in streaming spesso i guadagni paiono irrisori. Ad esempio due pesi massimi come Adele e Taylor Swift sono decisamente critiche. La prima semplicemente non concede il proprio catalogo ai servizi di streaming, mentre la seconda – dopo un battibecco acceso – ha trovato un accordo di esclusiva con Apple Music, legato evidentemente a un trattamento economico da lei ritenuto soddisfacente e non comparabile a quello offerto da altri.