Gli Interpol vanno avanti per la loro strada, senza se e senza ma, e lo dimostrano già dalla copertina del loro ultimo album “Marauder”. La foto in bianco e nero ritrae un personaggio alla scrivania: si tratta di Elliot Richardson, l’integerrimo procuratore generale che non cedette alle pressioni di Nixon durante lo scandalo Watergate.
Potrebbe essere una risposta chiara a chi rimprovera alla band statunitense di non aver mai cambiato genere e di essere rimasta eccessivamente fedele alla propria linea.
Tuttavia qualche cambiamento c’è: i testi, in questo sesto album in studio, sono più personali e introspettivi rispetto ai precedenti – decisamente più astratti – a partire dal brano di apertura “If You Really Love Nothing” (Se davvero non ami niente / Tutti sono inventati / Tutti stanno perdendo”).
Paul Banks e compagni hanno confezionato un bel disco, prodotto da Dave Fridmann (che ha collaborato anche con Flaming Lips e Mogwai) e registrato interamente in analogico. Le sonorità sono in classico stile Interpol, ma se quella è la formula a loro più congeniale, perché mai dovrebbero cambiarla?
Certo, vibrazioni e intensità non sono le stesse dell’album di esordio “Turn On the Bright Lights”, ma il risultato sono 13 brani (interludi compresi) da mettersi in cuffia per trascorrere un’oretta di piacevole ascolto, con buona pace di chi spera in una trasformazione.
Gli Arctic Monkeys, con il sesto album “Tranquility Base Hotel & Casino”, hanno cambiato radicalmente stile: hanno osato e hanno vinto. Chissà che non succeda anche agli Interpol. Magari il settimo disco, essendo il 7 un numero magico, sarà quello della svolta.