Zach Condon, il ragazzo di “Santa Fe” (intesa sia come sua città natale che come singolo estratto da “The Rip Tide” del 2011), ha composto un intero album su un vecchio organo Farfisa acquistato dal pianista di un circo itinerante.
Basterebbe già questa storia per descrivere “Gallipoli”, quinto album in studio dei Beirut, di cui Condon è l’anima.
Come i lavori precedenti (“Gulag Orkestar” del 2006 o “The Flying Club Cup” del 2007, per citarne un paio), anche in questo caso ci si ritrova immersi in una dimensione onirica, tra l’indie rock e la world music.
Fiati, organi, ukulele e synth navigano nelle stesse acque che, nella fattispecie, sono quelle del Salento.
Zach ha infatti scritto la title track proprio a Gallipoli, dopo aver assistito a una processione religiosa, e il disco è stato registrato in gran parte in Puglia, presso il Sudestudio.
È un album, quindi, in cui si respira l’aria calda del mare e che, al contempo, è venato di una leggera malinconia.
Come nei loro video, c’è un tocco vintage, legato alla luce, alla fotografia e all’amore per il folk, che i Beirut hanno saputo contaminare magistralmente tanto con la musica balcanica quanto con sonorità elettroniche.