Aveva 25 anni il Boss quando pubblicò il suo terzo album, “Born To Run”, il 25 agosto 1975.
In fase di registrazione le influenze erano chiare – il Wall Of Sound di Phil Spector, il rhythm’n’blues, la Motown, Dylan, Elvis, il soul – ma forse troppe per soddisfare un giovane Springsteen che, leggenda narra, sottopose a ritmi stressanti i suoi collaboratori in studio.
Ad affiancare il rocker del New Jersey e il produttore Mike Appel c’è Jon Landau, il giornalista che, dopo un suo concerto dell’anno prima, aveva scritto su Rolling Stone: “Stasera ho visto il futuro del rock’n’roll: il suo nome è Bruce Springsteen”.
A completare la squadra, viene assunto anche Jimmy Iovine, allora tecnico del suono in erba, che tre anni dopo lavorerà con il Boss anche per “Darkness on the Edge of Town”. Iovine ricorda i giorni faticosi di “Born To Run”, in cui Bruce voleva ripetere il pezzo più volte oppure registrava tracce nuove per poi accantonarle.
La band era esausta e il Boss incontentabile sembrava concentrarsi soltanto sui difetti dell’album – o quelli che lui riteneva tali – invece di apprezzarne le qualità che lo hanno effettivamente reso uno degli album più importanti della sua carriera.
Sicuramente il disco che ne consacrò il successo, specialmente dopo le aspettative che erano state poste nei primi due, “Greetings From Asbury Park, N.J.” e “The Wild, the Innocent & the E Street Shuffle”.
“Born To Run” racchiude alcuni tra i brani più celebri del Boss, come “Thunder Road” e la title track, e nonostante siano trascorsi 45 anni, il verso “‘Cause tramps like us, baby, we were born to run” fa battere il cuore a più di una generazione.