VECCHIONI: L'INTERVISTA
Dice che scrivere le canzoni del suo nuovo e bellissimo disco, “Di rabbia e di stelle”, è stato quasi un salvagente, un esercizio per esorcizzare e superare “gli ultimi anni di dolore, crisi, paure”. Di riflesso, la necessità di tornare dal vivo per suonare proprio quei brani, per Roberto Vecchioni si è trasformata in un sommo piacere. “Era da un po’ che non facevo concerti. Negli ultimi tempi mi ero dedicato soprattutto al jazz. Ma questo è un ritorno alla mia vecchia e più cara passione: la canzone d’autore. Salire di nuovo sul palco mi fa sentire il sangue che scorre veloce, i muscoli che si irrigidiscono. E’ una sensazione fantastica, come se la musica da spirituale si trasformasse in qualcosa di corporale”. Uscito lo scorso novembre, “Di rabbia e di stelle” ha già conquistato le classifiche e il disco d’oro. Così, anche il nuovo tour - con tre ore di musica, una band di sei elementi e un catalogo di canzoni tra classici del passato e brani più recenti - è partito sotto i migliori auspici. Ecco la nostra intervista.
Vecchioni, a 63 anni e dopo quaranta di carriera, la stupisce questo incessante affetto del pubblico?
“Più che stupirmi, ogni volta per me è un rinnovato entusiasmo. Dal vivo adoro due cose: il silenzio assoluto e carico di tensione che si crea durante l’esecuzione dei brani e lo sbotto finale con gli applausi, quasi liberatorio. E poi mi fa molto piacere vedere che l’entusiasmo più sincero arriva spesso dai tanti giovani che vedo sempre ai miei concerti”.
Un segno forse che le sue canzoni sono ancora attuali.
“Io cito sempre un verso da una poesia di Franco Fortini: “non bisogna mai mollare quando i risultatiti sono scadenti”. Ho smesso di insegnare al liceo anche perché i ragazzi erano arroganti. Oggi, rispetto agli anni ’60 o ’70, le nuove generazioni sono sempre più chiuse ai sentimenti, ai valori. Ma ogni volta che scrivo una canzone non riesco a fare a meno di dirmi: “sì, forse questa volta riuscirò davvero a inventarmi un brano che potrà cambiare le cose”. In realtà, non credo che la musica o la poesia possano cambiare il mondo. Ma almeno destare le coscienze, solleticare la rabbia”.
Oggi cosa la fa arrabbiare di più?
“Detesto l’idea che a essere solidali verso l’imbruttimento di questa Italia siamo sempre più in pochi. Non sopporto i voltagabbana, l’incapacità di noi italiani di non vedere a un metro dal nostro naso e di essere convinti che gli altri ci vogliano fregare o abbiano sempre più di noi. Credo sia un alibi per non lottare e adeguarsi”.
Un rimedio?
“Le stelle che cito nel titolo: l’impegno civile, l’amore per le persone che ti stanno accanto, ma anche la riscoperta di emozioni e valori semplici e spontanei. E poi la sofferenza, che non deve essere certo un fine. Ma quando si è sensibili, allora può essere positiva e farci rendere di più”.
Allude anche al periodo in cui ha dovuto lottare contro una grave malattia?
“Già, mi pareva di non avere più sentimenti o sicurezze. Ero invaso dall’angoscia e mi montava persino la vecchia rabbia contro i padroni. Era un problema di salute legato non solo a me, ma anche ai miei figli, alla difficoltà di portare avanti la situazione con mia moglie. E’ stato allora che, ad aiutarmi, sono state anche le canzoni dell’ultimo disco”.
Come vede cambiato il mondo della canzone dagli anni ’70 a oggi?
“Non è cambiato tutto. Oggi, c'è chi ancora è coerente, come De Gregori o Guccini. E poi mi piacciono i giovani che sanno trattare della vita e di se stessi con intelligenza: Niccolò Fabi, Daniele Silvestri, Carmen Consoli...”
Prova ancora emozione prima di salire sul palco?
“Sempre, come la prima volta”.
(08 febbraio 2008)
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